"Non condivido le tue idee, ma darò la vita perché tu le posesprimere". Voltaire

27.4.06

D'Alema a piede libero

Domani si insedieranno le camere del nuovo Parlamento. Quella dei deputati sarà presieduta da Fausto Bertinotti che tanto ci teneva al punto che Massimo D'Alema ha fatto un passo indietro, o meglio, un balzo indietro.
Tralascio ogni opinione su Bertinotti terza carica dello Stato.
Mi preoccupa di più D'Alema il quale ha sostenuto di voler tornare ad occuparsi del partito. Per me suona come una minaccia, anche se lui gode di tanta buona stampa che nessuno l'ha voluto scrivere. Se D'Alema torna al partito, tornerà nella condizione di far cadere Prodi come nel 1998. Non ho mai avuto dubbi sulla fedeltà di Rifondazione Comunista, ma ne ho su quella del presidente DS.
Mi auguro che accetti gli Esteri, così sarà talmente impegnato in giro per le cancellerie del mondo a recitare la parte dello statista da non poter nuocere al governo che gli italiani hanno voluto.
In bocca al lupo Prodi, in bocca al lupo Italia.

20.4.06

Prodi subito!

Cresce in Italia l'idea che sia questo Presidente della Repubblica a dare l'incarico di formare il nuovo governo a Romano Prodi.
Sembra essere diventata l'opinione degli italiani che contano ma anche di semplici cittadini che premono sui loro politici di riferimento. Un pressing sul capo dello Stato tanto inelegante quanto opportuno.
Una petizione è stata firmata anche da molti esponenti dei comitati per Rita Borsellino Presidente anche se non risulta che a lei sia stato proposto di firmare, il che sarebbe inopportuno oltre che inelegante.
Presidente, ci risparmi questa lunga vigilia!!!

12.4.06

Ingorgo istituzionale

Pare che il presidente della Repubblica voglia lasciare al suo successore l'onore (l'onere?) di affidare a Romano Prodi l'incarico per formare il nuovo governo. Non lo si può costringere a comportarsi diversamente da come ritiene più opportuno, ma non condivido la sua decisione e il rapito adeguamento ad essa dell'Unione.
Fino all'ultimo giorno del suo mandato il Capo dello Stato è nel pieno dei suoi poteri. Un tempo la Costituzione lo privava di quello di sciogliere le camere negli ultimi sei mesi del suo mandato. Tralascio considerazioni che ritengo interessanti e mi limito a dire che anche questo limite è stato eliminato.
Dunque Ciampi può affidare l'incarico a Prodi entro il 28 maggio, ultimo giorno del suo settennato.
Mettiamo il calendario alla mano.
Le camere si riuniscono il 28 aprile ed eleggono l'ufficio di presidenza. Si può prevedere che il compito sia svolto nell'arco di non oltre 48 ore, e siamo stati eccessivamente generosi (pensando più al Senato che alla Camera).
Entro il 5 maggio ("ei fu...") si costituiscono i gruppi parlamentari che il Capo dello Stato deve consultare prima di affidare l'incarico a Prodi. Tralasciando il fine settimana, lunedì 8 maggio Ciampi può dare avvio alla sfilata al Quirinale da concludere il 10, al più tardi, con l'incarico a Prodi che torna sul colle l'indomani con la lista dei ministri in mano. Entro il 17 maggio (8 giorni dopo) può arrivare la fiducia del Senato (tradizionalmente la prima aula ad esprimersi), entro il successivo 24 maggio quella della Camera. Giusto in tempo per la fine del mandato di Ciampi.
E per le regionali in Sicilia (e le aministrative nazionali: es.: Roma e Milano), su cui potrebbe influire positivamente la nascita del nuovo governo.
Eletto il nuovo presidente della Repubblica, buona educazione istituzionale vuole che il capo del governo rassegni simbolicamente le dimissioni, storicamente mai accettate. Nulla impedisce, poichè è cambiato il sistema politico ma non ancora la Costituzione, che la buona creanza sia rispettata da entrambe le nuove parti, non volendo prendere in considerazione che il nuovo capo dello Stato sarà comunque espressione dell'Unione, al più amichevolmente concordato col centrodestra.
Presidente Ciampi, ci risparmi una vigilia inutilmente più lunga...!!!

6.4.06

Il fantasma del regime

Giornata particolarmente felice quella del "Corriere della Sera" di oggi.
Propongo la lettura di questo editoriale di Paolo Franchi, editorialista di punta del quotidiano di via Solferino.
F. A.


Nella terzultima (se Dio vuole) giornata di campagna elettorale Silvio Berlusconi ci ha regalato una notizia buona e una cattiva. La notizia buona è che coglioni non sono, come ci era parso di capire, gli elettori del centrosinistra in generale, ma solo quelli che, pur disponendo di «beni al sole», votano ugualmente per l'Unione, andando così contro il proprio interesse. La notizia cattiva, che, come spesso accade, relega quella buona in secondo piano, è che proprio nella giornata di ieri si sono svolte le prove generali del «regime» in cui saremo costretti a vivere qualora il centrosinistra vincesse le elezioni.
Così la pensano anche il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che l'annuncio in questione lo ha anzi dato qualche ora prima di Berlusconi, protestando per l'aggressione e la discriminazione subite da Mediaset, e una quantità di esponenti della Casa delle Libertà. Tutto sta, naturalmente, a stabilire se la notizia cattiva risponda al vero o se, per caso, sia stata in gran parte costruita; e l'impressione è che la seconda ipotesi sia quella che più si avvicina al vero. Si può discutere quanto si vuole, infatti, sul rifiuto di Romano Prodi di partecipare a un terzo, imprevisto confronto con Berlusconi in una trasmissione di Canale 5; ma è molto difficile immaginare che il Cavaliere (lo stesso che nel 2001 rifiutò qualsiasi duello televisivo con Francesco Rutelli) e i suoi collaboratori non lo avessero messo in conto. E' pure poco probabile che, di fronte a questo no così prevedibile, Berlusconi abbia pensato che un gruppo di giornalisti di sinistra (sindacato o non sindacato) avrebbero consentito alla richiesta di intervistarlo nella medesima trasmissione, in qualche modo sostituendosi al leader dell'Unione.
Ed è ancora meno credibile che abbia coltivato davvero l'idea di sfidare tutto e tutti (le regole, gli avversari, la gran parte dell'opinione pubblica) esibendosi a ogni costo in un assolo. Molto più realistico, piuttosto, è pensare che sin dall'inizio Berlusconi avesse chiaro che quella trasmissione (una «trasmissione fantasma», ha commentato giustamente Enrico Mentana) alla fine non si sarebbe fatta, e proprio questo volesse. Per protestare contro i vincoli imposti (secondo lui, si capisce, a vantaggio dell'Unione) dalla par condicio, per denunciare la sinistra che oggi attenta alla sua libertà di comunicare e alla libertà dei cittadini di essere informati, e domani punirà Mediaset, per lanciare il grido di dolore più alto possibile sul «regime» che minaccerebbe tutti, non solo le sue reti, in caso di sconfitta della Casa delle Libertà. Può darsi che l'affondo, in termini di voti, gli giovi, anche se chi grida troppo alla censura non dà l'impressione di avere il vento in poppa. E' certo, però, che con questa storia della trasmissione fantasma Berlusconi ha rumorosamente riportato al centro della contesa il tema nevralgico del conflitto di interessi, che sinora aveva pesato, sì, nella campagna elettorale, ma certo non la aveva dominata. Anche a mettersi nei suoi panni, non sembra un'idea straordinaria.

Il vero Insulto

Ritengo particolarmente interessante quanto scritto da Claudio Magris e pubblicato oggi dal "Corriere della Sera". Magris è un pluripremiato scrittore italiano, molto apprezzato anche all'estero.
F. A.
Uno degli ultimi scivoloni del presidente del Consiglio uscente è oggetto di vituperio per una cosiddetta parolaccia usata nei confronti degli avversari politici, anzi di tutti gli elettori (in ogni caso, qualsiasi sia l'esito delle elezioni, di una metà degli italiani) che hanno intenzione di votare contro l'attuale coalizione governativa e, in particolare, contro chi la presiede. Scandalizzarsi per una loquela sboccata è forse esagerato, anche se un ruolo istituzionale dovrebbe comportare un certo stile e una certa decenza; una parola scurrile suona diversa se pronunciata da un marinaio alticcio che inciampa su uno scalino o da un vescovo che celebra una funzione religiosa. In ogni caso, lo scandalizzato stupore è fuor di luogo, perché ciascuno, in ogni momento della sua vita, fa (dice, pensa) esattamente quello che può ovvero usa i talenti che senza suo merito né demerito gli sono stati dati, come dice la parabola evangelica. Evidentemente, in quella circostanza — in quella costellazione irripetibile e fatale del suo stato d'animo, delle sue paure, ire, ambizioni, chimere — il presidente del Consiglio non poteva dire altro: non aveva, in quell'istante, altri concetti e altre parole a sua disposizione.
Non è dunque l'innocente volgarità da caserma — cui tutti, pur non presidenti del Consiglio, abbiamo largamente fatto ricorso senza per questo sentirci particolarmente infami — che deve essere bollata. In quella frase c'è qualcosa di ben più grave e sovversivo, che perverte il senso della politica. Il presidente in via di uscita ha offeso — poco importa con quanta finezza — chi vota senza pensare solo al proprio interesse. Con un unico insulto, ha liquidato secoli di pensiero liberale e di riflessione sul rapporto fra l'individuo e la collettività o lo Stato, fra l'interesse privato e quello pubblico, fra il bene individuale e quello comune. Aristotele Rousseau Locke Croce Einaudi e innumerevoli loro colleghi entrano così d'ufficio nella categoria che il presidente in scadenza ha definito con simpatica familiarità goliardica ossia nella categoria di chi vota — opera, agisce — pensando non soltanto al suo interesse, non soltanto al suo particulare. È questa l'aberrazione, non il linguaggio colorito e plebeo. Alle elezioni si vota per eleggere chi guiderà il proprio Paese. Del proprio Paese fa parte ogni cittadino, il quale, legittimamente anzi doverosamente, vota pensando anche, e fortemente, ai propri interessi; scegliendo i governanti che gli sembrano più capaci di garantire a lui e alla sua famiglia lavoro, sicurezza, benessere, dignità.
E' ovvio, è naturale ed è bene che in questa scelta rientri la considerazione della propria situazione personale, della propria categoria, delle proprie prospettive e dei propri beni. Gli interessi, prettamente intesi, possono essere più morali di astratti e furiosi ideali, come ha scritto Sergio Romano, perché responsabilmente attenti alla realtà e alle conseguenze, pure a lungo termine, di ogni atto e di ogni scelta. Ma la civiltà e la maturità politica — di un individuo, di una società, di un popolo — consistono nella capacità di collegare il proprio interesse con quello generale, di capire la loro reciproca indissolubilità, e si misurano col metro di questa capacità. Io faccio il professore universitario; è comprensibile che non sia disposto a dare il mio voto a un governo che si proponesse di ridurre alla fame o di deportare i professori universitari, ma meriterei l'epiteto caro al presidente in via di scadere se votassi pensando solo alla confraternita degli insegnanti universitari e questo vale per ogni categoria.
Al servizio di trasporti urbani della mia città chiedo certo di non trascurare il rione in cui abito, ma non soltanto di non trascurare quel mio rione; tutto ciò acquista una speciale intensità quando entrano in gioco esigenze primarie quali la sanità, la scuola, la dignità, le possibilità offerte potenzialmente a ognuno, la sicurezza. Chi può finanziariamente permettersi una nutrita e costante guardia del corpo, potrebbe personalmente infischiarsene delle rapine e delle aggressioni, ma non per questo necessariamente vota per ridurre le forze e le dotazioni della polizia; in questo caso, una persona civile vota apparentemente contro il proprio interesse (pagando per un servizio di cui in quel momento non ha bisogno), ma vota in realtà per il proprio interesse, che è quello di vivere in un Paese in cui la sicurezza è un bene generale. Guicciardini sferzava gli italiani accecati dal loro tornaconto particolare e perciò distruttori del bene dell'Italia e dunque di se stessi. La ramanzina al presidente agitato per il suo congedo non ha bisogno di ricordagli eroi — ad esempio i volontari caduti in guerra per l'Italia che hanno dunque agito contro il loro interesse personale, ma non per questo vengono ricordati col termine a lui così caro. Ogni volta che camminiamo per la strada sappiamo che il nostro interesse coincide in parte con quello degli altri passanti, ugualmente minacciati da eventuali buche e disposti a qualche piccolo sacrificio per colmarle. E se ad offendersi per quell'epiteto fossero i cittadini che si apprestano a votare per l'attuale governo?

Voto disgiunto

Sul Corriere della Sera di ieri la notizia che Giulio Andreotti, il 9 e 10 di Aprile userà il voto "disgiunto": alla Camera voterà Alleanza Nazionale, al Senato la lista Democrazia Cristiana - Nuovo PSI. Ha così motivato la sua scelta: in AN eleggerà il suo avvocato Giulia Bongiorno (ragionamento alla Berlusconi), nella lista DC-Nuovo PSI, Pippo Franco, proprio lui, il comico. Pare che nelle amabili conversazioni avute con l'attore, il divo Giulio l'abbia trovato molto interessante.
Ciò che colpisce, al di là del merito, è che uno dei capi della DC si sia ridotto a scegliere di volta in volta per quale partito votare, a seconda dei candidati schierati. In questa seconda (fase della) repubblica Andreotti non si identifica più in nessun partito. C'ha provato dopo il crollo della DC. Prima coi popolari e poi con Democrazia Europea, il partito cui diede vita insieme a Sergio D'Antoni e Pippo Baudo, entrambi ora nella Margherita, dopo un passaggio di D'Antoni nell'UDC (nello sfondo si intravede il simbolo di DE).
Oggi invece il sette volte presidente del consiglio appare come uno dei tanti elettori moderati, fluttuante di elezione in elezione. Mannheimer sostiene che sono sempre meno. Che ormai si vanno cristallizzando gli elettorati di centrodestra e centrosinistra. Ma resiste un 10 - 15% di elettorato nelle cui mani è la decisione di quale coalizione debba governare l'Italia.
E così, alla fine, Andreotti risulta comunque decisivo.
Ma anche lui comincia a perdere fascino. Alle ultime elezioni regionali, ha sostenuto la candidatura di Storace, sconfitto da Marrazzo. Si è rifatto al referendum sulla fecondazione assistita: in questo caso ha prima annunciato il suo voto contrario, da cattolico adulto; poi però, da cattolico ubbidiente, ha fatto sapere che non sarebbe andato a votare, come chiedevano le gerarchie ecclesiastiche. E' in quest'occasione che Andreotti è politicamente morto: non è stato più in grado di resistere alle pressioni vaticane, lui che da De Gasperi aveva imparato a ricacciare i vescovi dietro gli altari e a lasciare le cose della politica ai politici.

4.4.06

Di che partito sono?

Mi sono divertito anch'io coi test di alcuni siti che pretendono di dirmi per chi devo votare in base alle mie risposte ad alcune domande su questioni di politica nazionale ed internazionale.
Ho visitato tre di questi siti.
Per il primo, che poneva domande di destra che suggerivano già le risposte, le mie idee sono per poco più del 60% di centrosinistra e coincidono innanzitutto con Rifondazione, Verdi e Comunisti Italiani; seguono a pari merito l'UDC e i DS; quindi la Margherita; ho pure una spruzzatina di AN e Lega prima ancora che di FI. Gli altri partiti in questo test non esistono, mancano, segnatamente, Rosa nel Pugno e Italia dei Valori.
Per un altro sito il mio candidato premier da votare è Romano Prodi, il partito Rifondazione Comunista.
Un sito che invece mi ha analizato in rapporto a quasi tutti i partiti in lizza, mi ha trovato più vicino alla Rosa nel Pugno. Nel tempo devo aver subito una mutazione genetica, perchè dopo la RnP somiglio tanto, sostiene, ai Verdi e ancora a Rifondazione Comunista. L'unica certezza è che il mio partito ideale non esiste e che sono diviso fra i partitini. Prima di arrivare ad uno dei grandi partiti italiani, infatti, mi ritrovo più vicino a Italia dei Valori e ai Comunisti Italiani. Seguono i Ds, l'UDeuR e la Margherita. Completata la gamma dei partiti di centrosinistra si evidenziano i miei aspetti in comune con AN, Lega e UDC. Anche in questo caso, FI è solo ultima.
Che conclusione devo trarre? Che ragiono troppo con la mia testa per trovare, fra gli attuali, un partito che mi somiglia. Che sono evidentemente di centrosinistra. Che il mio pensiero mi allontana dai grandi pertiti italiani per avvicinarmi ai più piccoli, sopratutto a quelli di sinistra.
E' quì che colgo la conclusione vera di questi test: non funzionano. Ci pigliano forse per la coalizione (servirebbe qualche altra testimonianza a proposito) ma non certo per il partito. Fermo restando il fatto che io ho la certezza d'essere coerente con me stesso mentre i partiti spesso cambiano idea.
E visto che la classifica me l'hanno fatta gli altri, adesso la faccio io: Italia dei Valori, Margherita, UDeuR, RnP, Verdi, DS, PdCI, RC. E dall'altra parte: UDC (mafia esclusa), FI, AN e Lega.
In attesa del Partito Democratico, cui credo che somiglierò al 100% (o almeno spero).