"Non condivido le tue idee, ma darò la vita perché tu le posesprimere". Voltaire

25.2.07

A bocca aperta

Qualche riflessione su questa crisi di governo.
La prima. Che bisogno c’era di un dibattito al Senato sulla politica estera del governo? L’ha chiesto il presidente della Repubblica dopo che il governo è andato sotto nel dibattito sulla nuova base americana di Vicenza. Ho già scritto che sono contrario alla costruzione della base; e che le basi USA sul territorio italiano devono essere trasformate in basi NATO o chiuse e che il patto della NATO va rivisto rendendo gli alleati tutti uguali nei diritti e dei doveri.
Ciò detto riflettiamo. La nuova base di Vicenza c’entra poco con la politica estera del governo nel suo complesso. Riflette il rapporto bilaterale che abbiamo con gli USA e finisce lì. È parte della politica estera e non la totalità di essa.
Come per la Finanziaria, il governo e la maggioranza si mostrano dilettanti allo sbaraglio. Il centrodestra, sapendo di mettere in difficoltà l’Unione nella sua ala estrema di sinistra, presenta un ordine del giorno che recita, testualmente: il Senato, udite le comunicazioni del governo le approva. Insomma, la Casa delle Libertà approvava quanto appena finito di dire dal ministro della Difesa Arturo Parisi. RC, PdCI e Verdi rifiutano di sommare i propri voti a quelli della Casa delle Libertà e costringono il governo a dirsi contrario al contenuto di quell’ordine del giorno. Si va ai voti. Ovviamente, personalità di grande intelligenza dell’Ulivo e non infantili come il personale politico dell’estrema sinistra, rifiutano categorie mentali ideologizzate e votano quell’odg che passa. Passa anche l’ordine del giorno dell’Unione che, udite udite, non approva le comunicazioni di Parisi ma semplicemente ne prende atto. Per il governo è comunque una sconfitta politica che induce Napolitano a chiedere un dibattito al Senato sulla politica estera. È l’esatto contrario di quanto fatto finora dal governo il quale, cosciente della risicata maggioranza a Palazzo Madama, cerca di evitare i voti parlamentari quanto più possibile. Ma la proposta di Napolitano viene fatta propria dal governo e si va. Massimo D’Alema, che non ha imparato niente dalle regionali perse che gli costarono il posto, dopo aver promesso che avrebbe lasciato Palazzo Chigi se il centrosinistra le perdeva, lancia al Senato un’altra sfida: o approvate la mia politica estera o il governo si dimette. Nessuno lo smentisce, purtroppo, anche se il ragionamento, semplicemente, non ha senso, come non aveva senso la richiesta del Quirinale.
Riflessione d’obbligo, prima di proseguire. Al Quirinale c’è un diessino in ottimi rapporti con D’Alema. Ritengo che quest’ultimo, favorendone l’elezione al suo posto, vi abbia messo un uomo disponibile nei suoi confronti. Il Quirinale che invitava al dibattito sulla politica estera, faceva il gioco di D’Alema, che, uscitone vincitore si sarebbe rafforzato. Ecco perché la proposta di Napolitano. D’Alema, ritengo, gliel’ha suggerita a suo vantaggio. Ed invece è andata come sappiamo. Tutti, tranne Fassino, volevano fortemente D’Alema al governo perché sapevano che rappresentava un pericolo lasciarlo scorazzare libero nella politica italiana: già una volta aveva complottato con Bertinotti per far cadere Prodi. E quest’ultimo, non riuscendo a neutralizzarlo mandandolo al Quirinale, ha pensato bene di esiliarlo agli Esteri. Ma D’Alema è D’Alema, e per la politica interna italiana una jattura: dovrebbe dedicarsi solo alle cancellerie straniere, con le quali può sfogare la sua indole da tessitore di trame. Ma il nostro non ce la fa a non occuparsi delle cose italiane. E non potendo fare diversamente, ha inguaiato Prodi con la politica estera.
Ma torniamo al nostro racconto dell’assurdo.
Puntatosi da solo una P38 in faccia e messala nelle mani di irresponsabili come Turigliatto e Rossi, D’Alema, pieno di sé, li ha provocati e loro hanno sparato.
Prima che qualcuno potesse parare il colpo, irritualmente è salito al Quirinale: a fare che? Di solito è il capo del governo e non il suo vice che fa certe cose. Per consultazioni, dicono. Per imboccare Napolitano e suggerirgli il da farsi, dico io. Una simile ricostruzione sui giornali non si trova. Ma un po’ tutti gli articoli provano a suggerire di D’Alema l’idea del complottardo. Altra riflessione. Sulle comunicazioni di D’Alema il governo non pone la fiducia, dunque non v’è alcun obbligo alle dimissioni, eppure Prodi le dà.
Ripercorriamo l’assurdo. Assurdamente Napolitano chiede un dibattito sulla politica estera; assurdamente il governo lo concede; assurdamente D’Alema provoca; assurdamente, dopo il voto, sale al Quirinale; assurdamente Prodi si dimette.
Il dilettantismo dell’Unione al Senato non è certo di questo mese. Pur consapevole di avere un margine di pochi voti che fa? Elegge uno dei propri alla Presidenza del Senato, perdendo un voto. Peggio. Elegge un senatore al Quirinale, perdendone un altro: due in tre settimane. Come se non si potesse rinunciare, dato l’esito delle elezioni, a guidare Palazzo Madama (l’ultimo voto utile espresso da Marini) e come se i DS, a parte D’Alema e (il ventriloquo?) Napolitano (81 anni) non avessero altre personalità per la Presidenza della Repubblica.
Il governo la settimana prossima avrà la fiducia ma rischia di essere un’anatra zoppa. E di certo ha perso, ad oggi, molto del suo risicato smalto.
Il nuovo voto di fiducia poteva essere l’occasione per un dimagrimento delle compagine ministeriale, forte di centouno (!) membri. Non so quanti sottosegretari possono essere considerati supeflui, ma quasi una dozzina di ministri potrebbe lasciare il governo senza che l’Italia ne risenta, anzi.
Ed invece, questa volta per comprensibile prudenza, meglio non stravolgere la situazione.
Alla fine qualcosa di buono però potrebbe uscire. Prodi, con il suo dodecalogo, pare aver dato una bella frustata a Verdi, PdCI e RC. La speranza, poco fondata, è che li abbia ridotti alla ragione per lungo tempo.
Ultima riflessione. La sinistra radicale non ha voluto finora sentir parlare di maggioranze variabili. Guai se il governo varava provvedimenti aprendo a settori dell’opposizione.
Eppure la sinistra radicale non se n’è schifiata quando è stato approvato l’indulto. Quando la maggioranza variabile si è creata ed il provvedimento è passato coi voti di FI e UDC, ma senza quelli di IdV che si è aggiunta all’opposizione di Lega e AN. In quel caso, la maggioranza variabile andava bene.

19.2.07

Binnu il confidente

Mercoledì scorso su RAIUNO è andata in onda la fiction in una sola puntata su Bernardo Provenzano.
Tralascio il giudizio complessivo sull’opera: in Sicilia diciamo sfinci ri prescia. Adesso attendiamo la fiction sullo stesso argomento realizzata per conto di Mediaset e dove Provenzano è interpretato da Michele Placido.
Ma c’è un aspetto che mi ha colpito particolarmente.
Il regista ha lasciato intendere che u tratturi avrebbe favorito prima l’arresto di Totò Riina e poi quello di Leoluca Bagarella per rimanere solo alla guida di Cosa Nostra.
Una teoria non nuova che circola da tempo ma ancora non suffragata. O no?

14.2.07

Di.Co. sì

Il governo Prodi ha licenziato un disegno di legge col quale in Italia verranno istituiti i DI.CO., diritti dei conviventi, versione all’italiana dei PACS francesi.
Non è il matrimonio, non sono i PACS francesi, non è nemmeno quel concetto repubblicano di matrimonio che io ho invocato più sotto (v. Del matrimonio (parte seconda)) ma sono comunque una buona cosa che condivido.
Scattano se due persone conviventi, singolarmente o contestualmente ma non insieme, informano l’anagrafe del comune di residenza di convivere. I due soggetti in questione possono essere legati da effetto ma anche, come da me auspicato ed esemplificato, da legami di parentela, senza distinzione di sesso.
Automaticamente vengono loro riconosciuti diritti e doveri verso la comunità di cui fanno parte. I diritti non vengono acquisiti tutti immediatamente ma poco a poco via via che aumentano gli anni di convivenza. Questo per la verità non lo condivido. Ritengo che i diritti e i doveri debbano essere riconosciuti tutti immediatamente e revocati al momento della rottura del rapporto, anche questo semplicemente comunicato senza ulteriori complicazioni burocratiche e giuridiche.
Detto questo condivido appieno i DI.CO.
Ovviamente e giustamente, riconosciuto il diritto alla reversibilità della pensione, il disegno di legge rinvia la soluzione alla riforma delle pensioni che farà il governo Prodi.
Bene per il governo, brave le ministre Pollastrini e Bindi. Verso quest’ultima si mantiene alta la mia stima. Ha difeso bene il progetto di legge a Porta a Porta contro Buttiglione e Alemanno. Da tempo ritengo che potrebbe essere un buon capo del governo.

8.2.07

Flavio la peste

Mai avuta grande stima di Giovanna Melandri. Il ministro per lo Sport ha deciso di rivoluzionare il mondo del calcio, e si muove come un marziano, visto che questo mondo non lo conosce proprio.
Gli unici apprezzamenti pare li abbia ricevuti dai calciatori della nazionale che, festeggiando negli spogliatoi la vittoria della Coppa del Mondo, sembra abbiano iniziato a gridare: faccela vedè, faccela toccà. E lei, che come tutti aveva capito, indignata si è rivolta ai giornalisti precisando che i calciatori si rivolgevano alla coppa. Non c’è dubbio. Alla coppa pensavano, ma non a quella del Mondo.
Ma a confermare il parere negativo che ho di questa donna è la polemica che lei ha creato e che l’ha inseguita per settimane sui suoi soggiorni nella casa keniota di Flavio Briatore. Anche qui lei ha negato sdegnata. E anche qui ha provato a negare inutilmente l’evidenza. C’erano i testimoni, che lei smentiva. E alla fine, a smentire lei sono arrivate le foto. Inevitabile visto che dava dei bugiardi a gente come il direttore del TG5 Carlo Rossella, che ricorda tre incontri con l’allora deputato, e Simona Ventura, che, a casa di Flavio, insieme a Giovanna, ci ha passato capodanno insieme ad altre due amiche. Sarà stato lo stesso padrone di casa stanco d’essere così platealmente snobbato e schifiato, sarà stato uno dei bugiardi sinceri, o magari qualche altro indignato dalla bugie del ministro, alla fine qualcuno ha uscito le foto e non è certo mancato il settimanale disposto a pubblicarle. C’è Briatore e c’è la Melandri che balla con indosso un kaffetano.
Perché non mi piace la Melandri? Perché, come molti a sinistra, è ipocrita. Vuol apparire diversa da com’è. Migliore di com’è. Politicamente corretta secondo finti valori che imperverserebbero dalle sue parti politiche, dove Briatore è considerato kitch, da snobbare, certo non la persona da frequentare per un ex ministro della Cultura. I valori di Briatore sono le donne, i danari, il successo, la ricchezza, le case sparse per il mondo, non certo Marquez o Hess. La Melandri non poteva passare per amica di un tale buzzurro, che ha osato indignarsi per la tassa sugli yacht dei ricchi voluta dal presidente della Regione Sardegna, ricco pure lui ma di centrosinistra e con le letture e i valori giusti.
Bèh, poteva pensarci prima di cedere alla bellezza della ricchezza. Se proprio disprezza Briatore, ma io non ne vedo il motivo, poteva evitare di frequentarlo, invece di fare questa figuraccia.
L’Italia non ha bisogno di Briatore, ma può certamente fare a meno della Melandri: il suo posto potrebbe essere più efficiente in mano ad altri. Ma in questo non è la sola.

Il Democratico Sofri

Con la scusa che l’eterno nascituro Partito Democratico dovrà accogliere diverse culture politiche, il PD rischia di mescolare nello stesso calderone il diavolo e l’acqua santa.
E fin qui, vabbè. Ma sarebbe corretto che il nuovo partito segnasse una minima discontinuità rispetto a certi rituali e miti della Sinistra italiana. Invece vi cedono lo stesso Fassino, il solito D’Alema e il sempre sorprendente Walter Veltroni.
Fassino ieri ha presentato in un cinema romano la sua mozione congressuale a favore del PD. Per l’occasione Senato e Camera hanno fermato i lavori, così da consentire a deputati e senatori d’essere presenti all’evento. Si è incazzata la CdL? No. Il diessino, e senatore, Cesare Salvi, scandalizzato che i lavori parlamentari vengano sospesi per la riunione di una corrente che, per inciso, non è la sua, essendo il presidente della commissione giustizia del Senato contrario alla nascita del PD e allo scioglimento dei DS. Salvi è, insieme a Mussi, Angius, Calderola e altri, uno di questi recenti socialisti postcomunisti, che sono socialisti in Europa e non si sa bene che cosa in Italia. Fassino, D’Alema e Veltroni, per lo meno il nodo vogliono scioglierlo, inventandosi i Democratici all’italiana.
Ma ciò che non andava nella manifestazione di ieri era la presenza di, appunto, uno dei miti della peggiore sinistra di questo paese: Adriano Sofri, ex leader di Lotta Continua e pertanto amico di vecchi compagni di battaglia come Enrico Deraglio, Giuliano Ferrara, Gad Lerner e tanti altri autorevoli giornalisti italiani, i quali, sfruttando le proprie posizioni di potere hanno, appunto, fatto un mito del proprio ex compagno e lo dipingono come persona onesta, retta e proba, con una grande sensibilità verso il genere umano, grande pensatore, autorevole opinionista politico, capace giornalista e quant’altro. Mentre invece è l’assassino del commissario Calabresi, secondo più sentenze definitive della magistratura. Sofri è talmente mito da rifiutare di chiedere la grazia al Capo dello Stato e da pretendere, al contrario, che i vari inquilini del Quirinale gliela concedano motu proprio.
Ora se anche Sofri può stare nel PD, immagino che molti vi rinunceranno.
P.S.: Dopo aver redatto questo post e prima della pubblicazione è arrivata la notizia che anche l'on. Olga D'Antona, moglie del giuslavorista Marco Biagi assassinato dalle nuove BR si è indignata per la presenza di Sofri alla presentazione della mozione Fassino. Fa piacere sapere di essere in buona compagnia.

Lettera dal fronte

Ho già scritto che l’Italia deve rimanere in Afghanistan.
Il nostro intervento in questo paese era finalizzato al rovesciamento del regime dei talebani, ovvero di Al Qaeda che ha sferrato l’atto bellico a danno degli USA l’11 settembre del 2001. E gli USA sono nostri alleati, al cui soccorso dobbiamo andare in base agli accordi della NATO.
Le nostre truppe in Afghanistan svolgono un ruolo marginale, di controllo delle province meridionali, non direttamente impegnate nello smantellamento della guerriglia talebana. La NATO, su richiesta del comando USA, ci chiede invece un maggiore impegno, non soltanto in termini di truppe, ma anche di qualità dell’intervento. Nel disegno statunitense, i nuovi rinforzi italiani andrebbero concentrati in quelle aree del paese dove i militari USA e britannici combattono quotidianamente, manu militari, il nemico.
Obbiettivamente, la richiesta non è sbagliata. Se siamo lì per far fuori i talebani, che sono una minaccia per tutto l’Occidente, o li combattiamo o non ha senso rimanere acquartierati dove i talebani non ci sono. Perché questo vorrebbe dire rimanerci a tempo indeterminato, in attesa che altri facciano il da farsi.
Il nostro governo dovrebbe dirottare in Afghanistan le truppe ritirate dall’Iraq e schierarle contro Al Qaeda.
Detto questo, è una decisione che spetta al nostro governo e che la maggioranza italiana deve prendere in totale autonomia. Bene hanno fatto Prodi e soprattutto D’Alema a reagire malamente alla lettera di sei ambasciatori guidati da quello americano in cui ci si rivolge direttamente agli italiani perché spingano il governo a rimanere in Afghanistan. È una bella interferenza. Sei paesi stranieri, seppur amici, si rivolgono ad un popolo perché modifichi la linea di condotta del governo che hanno eletto. Manco fossimo noi stessi l’Afghanistan! Ricordate quando ho scritto dell’idea imperiale che gli USA hanno di sé? Eccone una prova.
La lettera, ispirata dal Dipartimento di Stato USA, dimostra poi che l’amicizia tra Condi Rice e D’Alema era una burla di quest’ultimo. Ma questo l’avevamo capito da soli. La missiva incriminata è un bell’attacco anche alla megalomania del nostro ministro degli Esteri, che si è dovuta accontentare della sconfessione dell’ambasciatore rumeno da parte del suo governo, premier in testa.

5.2.07

L'antipapa

Nella domenica senza calcio ha tuonato Pippo Baudo in collegamento telefonico con Quelli che il calcio e…
Il presentatore catanese, toccato dai fatti della sua città, se l’è presa con la Chiesa – che ha mantenuto i festeggiamenti per Sant’Agata – e con il Papa che all’Angelus ha nuovamente attaccato l’indipendenza dello Stato Italiano invece di occuparsi delle coscienze dei suoi fedeli.
La passione di Baudo per la politica è nota. Democristiano di confessione demitiana, ha fatto da testimonial al partito di D’Antoni e Andreotti. Ma ha sempre rifiutato l’impegno in prima persona, declinando le proposte di candidature ad elezione certa che gli faceva De Mita, e quelle incerte per conto di DE o dell’Ulivo alle ultime regionali siciliane. Per DE fece scendere in campo l’allora moglie Katia Ricciarelli.
Baudo ieri ha dimostrato di seguire la politica ancora da democristiano, ovvero da cattolico laico che non accetta le interferenze della Chiesa nelle vicende della Repubblica.
Abbiamo riso tutti quando Rutelli pensò di schierarlo contro Cuffaro. Certo però che per trovare un personaggio pubblico col coraggio di richiamare Ratzinger al suo mestiere finora si faceva fatica invano. Adesso sappiamo che ne esiste almeno uno.
Forza Baudo!

La Veronica

Ebbene sì, anch’io cedo alla tentazione di dedicare il mio tempo ai Berlusconi e alla loro vicenda amorosa perché ho impressione che in questi giorni si sia tralasciato qualcosa delle due lettere.
Prima di sottolinearne questi aspetti, voglio dire che concordo con chi ha visto nella lettera della Berlusconi uno schiaffo al marito, perché è stata scritta, pubblicata e per di più su la Repubblica. Pare che lui si negasse da venti giorni, e lei lo ha costretto a farsi ascoltare. Grande. S’erano messi d’accordo? Francamente non credo. Lui non c’ha fatto una gran bella figura. Nessuno vorrebbe essere in questa vicenda al posto dei loro figli. Berlusconi non c’ha guadagnato. La moglie sì. Finalmente qualcuno che ruota attorno al grande capo e non solo dissente, ma lo schiaffeggia in pubblico senza temere conseguenze. Mi tornano in mente le parole di Sandro Bondi che vorrebbe Veronica al posto di Silvio. Ameno così il suo amore verso il capo non sarebbe più omosessuale. L’idea non è poi così peregrina. Né Casini, né Fini, men che meno Bossi, possono tenere unita la CdL. Dovrebbe provarci qualcuno che oggi è un po’ defilato sul campo nazionale, come il sindaco di Milano Letizia Moratti o il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, che però ogni tanto litiga con la Lega. La Veronica invece rimetterebbe tutti in riga, anche perché donna. La sua biografa Maria Latella smentisce interessi politici della signora, ma d’altronde anche la Clinton, finchè fu first lady smentiva di voler fare politica in prima persona, come se già non la facesse: solo che non aveva incarichi istituzionali. Se la Veronica si convincesse che ne va del patrimonio di famiglia, potrebbe scendere in campo. D’altronde si è più volte preoccupata che i suoi tre figli fossero trattati dal padre alla stessa maniera dei primi due di primo letto, in questo ricordando le mogli e madri di certi imperatori romani, preoccupate di tutelare, se non addirittura di favorire, i propri figli rispetto a quelli delle consorti precedenti. Dunque se la Veronica si convincesse che l’ “impero” è in pericolo e che solo lei può salvarlo, per lo stesso motivo del marito, vale a dire gli interessi di famiglia, credo che potrebbe decidere di scendere in campo. E sarebbe un’altra vittoria per la CdL ed una sonora sconfitta per l’Unione, che al massimo può contare su Walter Veltroni, il che è quanto dire. La destra italiana si confermerebbe peronista e noi avremmo la nostra Evita, riveduta e corretta in base alle circostanze e ai tempi mutati.
Alla luce di queste riflessioni, sostengo sempre la tesi che i due non si sono messi d’accordo in questa vicenda? Sì. Lei si è preoccupata di difendere la sua dignità e non il suo matrimonio. Si è preoccupata del suo buon nome, di non apparire accessoria rispetto al marito, si è preoccupata di dimostrare che sa tenere testa a chiunque, che ha le palle.
Ma se leggiamo meglio la sua lettera, quella della Veronica è una presa di posizione recente. E la sua vita quanto di più distante da un esempio d’emancipazione femminile.
Diciamocelo prima di qualunque altra cosa. Silvio, questa volta, non ha fatto, nei suoi confronti nulla di più offensivo rispetto al passato. Ma lei soltanto adesso si ribella.
Aggiungiamo anche che lei scrive di aver dedicato la sua vita alla famiglia, mentre le figlie femmine di casa, sono lanciate nel mondo del lavoro nell’azienda di famiglia, l’esatto opposto dell’esempio dato dalla Veronica.
Ma veniamo alla lettera.
La Veronica scrive che nel suo matrimonio ci sono stati contrasti e momenti dolorosi che lei ha trattato con rispetto e discrezione. La natura di questi non è specificata ma, in un blog possiamo dircelo, non è peregrino immaginare discorsi di corna.
Che moglie ha scelto di essere la Veronica? Una che non vuole lasciare spazio al conflitto coniugale, anche quando i comportamenti di Berlusconi ne hanno creato i presupposti. Insomma, una moglie che, credendo nel suo matrimonio più che in sé stessa, dal marito accetta tutto per la serietà e la convinzione con la quale mi sono accostata ad un progetto familiare stabile, per la consapevolezza che, è cresciuta la dimensione pubblica di mio marito, circostanza che ritengo debba incidere sulle scelte individuali, anche con il ridimensionamento, ove necessario, dei desideri personali: insomma, la sua soggettività messa da parte per non infastidire il marito capo-famiglia.
Di più: ho sempre considerato le conseguenze che le mie eventuali prese di posizione avrebbero potuto generare a carico di mio marito nella sua dimensione extrafamiliare: la rinuncia alla libertà di parola per parare le conseguenze su Silvio.
Poi c’è la rivendicazione di dignità, che a questo punto definirei tardiva, e su cui si sono concentrati i media e che quindi tralascio.
E come ti risponde il marito? In maniera tale che, dicono le cronache, alla Veronica non è poi mica tanto piaciuto.
E c’ha ragione. Nella lettera infatti Silvio rivendica l’orgoglio privato ma non resiste alla dimensione pubblica. (Ricordo ancora quando, da imprenditore, si rifiutava di andare ospite in tv: anche per lui apparire è diventata una droga).
Mette a posto la moglie al suo ruolo di madre: tre figli che hai preparato.
Parla di un semplice periodo di turbolenza e affanno in cui i due non riescono ad ammettere le cose belle fatte insieme, e pare che dica alla moglie che è lei a dimenticarle.
Minimizza: questo periodo finirà, e finirà nella dolcezza come tutte le storie vere.
Attacca la consorte dicendo di amarla nella comprensione e nell’incomprensione. Ovvero: l’ama quando capisce i suoi atteggiamenti e, a che c’è, anche in momenti, magari come questo, in cui non la comprende.
La Veronica lamenta l’offesa alla sua dignità di donna e madre? Eccola servita: custodisco la tua dignità nel mio cuore anche quando dalla mia bocca esce la battuta spensierata (sempre minimizzare, nda), il riferimento galante, la bagattella di un momento. La dignità conservata, fin quasi a dimenticarne il posto, nel cuore. Alla bocca libero sfogo.
Subito dopo arriva il colpo di grazia. Berlusconi tiene a precisare che proposte di matrimonio, no, credimi, non ne ho fatte mai!!! Con le altre donne ha fatto di tutto, ma mai ha chiesto loro di sposarle. COLPO DI TEATRO.
Insomma, la buona Veronica alla fine si è comportata da moglie isterica e disperata che ricorre alle ultime frecce che le sono rimaste nella faretra: una lettera pubblica sul quotidiano nemico del coniuge. E il buon Silvio si è comportato come il classico marito colto in fallo che a parole sembra cedere su tutta la linea ma in realtà, in cuor suo, non si sposta di un millimetro, pur avendo torto marcio, e forte del fatto che la signora ha scatenato un can can per nulla rispetto a molto di più avvenuto in passato.
C’è un problema. Il messaggio mediatico che è passato, ed in questo entrambi sono stati bravissimi, è che lei si è vendicata della disattenzioni coniugali e dei frizzi di Silvio ottenendo che il coniuge tornasse a cenare con lei e i figli per ben due sere consecutive. Lui è passato per il marito innamoratissimo che cede alle pretese della signora che giudica corrette e promette più attenzione.
Ma la guerra dei Berluscones continua tra le mura domestiche, ne sono certo. Lì conta l’intelligenza ed il carattere di entrambi. Ed in ognuno di essi nessuno di questi aspetti fa difetto.

Del matrimonio (parte seconda)

Il matrimonio non è nato con il cattolicesimo.
Se andiamo indietro con la storia, forme di matrimonio moderno le registriamo nelle civiltà classiche dei greci e dei romani.
Per non parlare della leggenda sull’uomo preistorico che sceglieva la propria moglie e la faceva sua a colpi di clava.
Dunque l’essere umano, praticamente da subito, ha ritenuto di regolarizzare un rapporto speciale tra due persone dando vita al concetto di matrimonio, molto debole, però, ancora fra i greci.
Le testimonianze storiche su questi ultimi, sottolineano più in generale la cultura dell’amore fra due persone, senza fissare riti esclusivi e immortali.
Tutto questo per dire che il matrimonio non l’ha inventato il cristianesimo ma i pagani. Esisteva già al tempo delle prime comunità cristiane che lo hanno adottato modificandone le finalità ed il rito.
Il matrimonio romano puntava a perpetuare la famiglia, intesa non come unione tra marito e moglie con figli, bensì comprendeva anche gli schiavi. E se figli naturali non ne venivano, poco male: era facile adottarli, fosse stata anche la famiglia dell’imperatore.
Il cristianesimo aggiorna il rito, e questo è ovvio, visto che cambia la divinità cui tocca benedire l’unione. Il cattolicesimo, poi, come ha ricordato in questi giorni Rocco Bottiglione, stabilisce che la finalità unica del matrimonio è la procreazione. Se non la si prevede o se non vengono figli, il matrimonio non è necessario.
La cosa importante in questa sede è sottolineare che il matrimonio non è un portato di Gesù: gli ebrei si sposavano già. È una necessità sentita dall’uomo che l’ha regolato secondo le esigenze della comunità. In ogni caso storico, applicando regole più larghe di quelle cattoliche. Mi viene da dire che Gesù c’entri poco col matrimonio, visto che ha tolto i suoi discepoli alla famiglie che avevano costituito per farne i suoi apostoli. È la sua Chiesa che ha sentito l’esigenza di avere proprie regole in materia. Regole diverse da quelle fin lì applicate dalle comunità in cui cresceva il seme cristiano.
Ciò detto, dato che nessuno può vantare nemmeno l’esclusività storica in tema di matrimonio, ritengo che anche la Repubblica Italiana possa avere regole proprie in tema di matrimonio senza prenderle in prestito da una fede religiosa. D’altronde è già così. In Italia è previsto il divorzio che la Chiesa non ammette.
Ad uno stato laico serve regolare il matrimonio? Ritengo di sì. Quando una coppia decide di vivere insieme, possibilmente per sempre ed in maniera esclusiva, si istaurano dinamiche sociali con conseguenze effettive su tutta la loro comunità di appartenenza ed è giusto che si riconosca a questo nuovo nucleo sociale una propria soggettività diversa da quelle dei nuclei di provenienza. Nuclei che possiamo chiamare famiglia. Lo Stato ha il diritto di definire la composizione di questo nucleo, prevedendo i doveri che il nuovo soggetto ha verso la più ampia comunità statale e i diritti che può vantare rispetto alla stessa comunità. Con ciò prevedendo eventuali nuovi diritti e doveri nel caso in cui il nucleo si allarghi a seguito della nascita di nuovi componenti generati dal nucleo stesso. – Cerco di utilizzare nuove parole per non cadere io e voi in pensieri pregiudizievoli – Lo Stato deve indicare quali sono i diritti e i doveri di un nucleo che non procrei e quelli di un nucleo che procrei. Senza ovviamente indagare sul perché non avvenga la procreazione. Lo dico perché chi decide di avere figli rende comunque un servizio alla comunità statale cui assicura un futuro e perché chi genera mette al mondo creature indifese che, per almeno un ventennio, saranno un costo per i genitori e non contribuiranno certo al sostentamento del nucleo di appartenenza. Tocca allo Stato decidere se favorire la genitorialità oppure no. In entrambi i casi i nuclei con figli dovranno avere diritti e doveri diversi rispetto a quelli senza figli.
Se concordiamo sul fatto che questa è l’unica distinzione che lo Stato deve fare fra i vari nuclei, cioè, ripeto, quelli con figli e quelli senza figli, prendendo in considerazione questi ultimi, lo Stato non dovrà porsi la domanda del perché non generino prole. Non sono affari che lo riguardano. I nuclei senza figli sono fra di loro con eguali diritti. E potranno essere composti da singoli di sesso diverso o dello steso sesso.
Tali nuclei non è detto che si creino per amore. Se fissiamo con precisione e certezza i diritti e i doveri, tali nuclei potranno essere composti anche da persone che per convenienza scelgono la convivenza, oppure per semplice affetto.
Faccio un esempio. Famiglia numerosa, sei figli. Quattro si sposano, due no e rimangono a vivere con i genitori. Abbiamo così cinque diverse famiglie: quella originaria oramai ridotta ai genitori e a due dei sei figli; e le altre quattro famiglie cui hanno dato vita i figli che si sono sposati. Nella mia visione la prima costituisce un nucleo con la stessa soggettività di ognuno delle altre quattro. Attualmente, relativamente agli anziani genitori, i sei figli hanno tutti gli stessi diritti sia mentre sono in vita che dopo la loro morte. Arrivando al paradosso che se i genitori con i due figli hanno dato vita ad un loro patrimonio, questo, alla morte dei genitori va diviso coi quattro che si sono sposati e che non hanno contribuito a creare quel patrimonio.
Non solo. Morti i genitori, rimangono due figli, fra di loro fratelli o sorelle e quindi dello stesso sesso. Rispetto a ognuno di loro, i fratelli sposati hanno eguali diritti. Se i nubili o celibi costituiscono un proprio patrimonio, alla morte di uno dei due gli altri ne hanno diritto, pur non avendovi contribuito da vivi.
Il diritto di famiglia va rivisto. E deve prevedere un’idea repubblicana della famiglia realizzando più giustizia.
I due fratelli o le due sorelle del mio esempio, devono potersi registrare come famiglia, al pari di una coppia composta da marito e moglie. Guarda un po’, una coppia omosessuale. Vuoi vedere che se ci togliamo il prosciutto dagli occhi e guardiamo ai singoli casi ci rendiamo conto che chi è contrario ai pacs, che sono niente rispetto alla mia idea, lo fa solo per ignoranza e insipienza, perché si rifiuta di guardare alla realtà italiana di oggi?
E chi non vuol guardare oltre il proprio naso non merita di decidere del destino altrui.
Male hanno fatto quei partiti che hanno portato in parlamento dei veri ciechi, fornendoli di un potere che non meritano.