"Non condivido le tue idee, ma darò la vita perché tu le posesprimere". Voltaire

25.2.07

A bocca aperta

Qualche riflessione su questa crisi di governo.
La prima. Che bisogno c’era di un dibattito al Senato sulla politica estera del governo? L’ha chiesto il presidente della Repubblica dopo che il governo è andato sotto nel dibattito sulla nuova base americana di Vicenza. Ho già scritto che sono contrario alla costruzione della base; e che le basi USA sul territorio italiano devono essere trasformate in basi NATO o chiuse e che il patto della NATO va rivisto rendendo gli alleati tutti uguali nei diritti e dei doveri.
Ciò detto riflettiamo. La nuova base di Vicenza c’entra poco con la politica estera del governo nel suo complesso. Riflette il rapporto bilaterale che abbiamo con gli USA e finisce lì. È parte della politica estera e non la totalità di essa.
Come per la Finanziaria, il governo e la maggioranza si mostrano dilettanti allo sbaraglio. Il centrodestra, sapendo di mettere in difficoltà l’Unione nella sua ala estrema di sinistra, presenta un ordine del giorno che recita, testualmente: il Senato, udite le comunicazioni del governo le approva. Insomma, la Casa delle Libertà approvava quanto appena finito di dire dal ministro della Difesa Arturo Parisi. RC, PdCI e Verdi rifiutano di sommare i propri voti a quelli della Casa delle Libertà e costringono il governo a dirsi contrario al contenuto di quell’ordine del giorno. Si va ai voti. Ovviamente, personalità di grande intelligenza dell’Ulivo e non infantili come il personale politico dell’estrema sinistra, rifiutano categorie mentali ideologizzate e votano quell’odg che passa. Passa anche l’ordine del giorno dell’Unione che, udite udite, non approva le comunicazioni di Parisi ma semplicemente ne prende atto. Per il governo è comunque una sconfitta politica che induce Napolitano a chiedere un dibattito al Senato sulla politica estera. È l’esatto contrario di quanto fatto finora dal governo il quale, cosciente della risicata maggioranza a Palazzo Madama, cerca di evitare i voti parlamentari quanto più possibile. Ma la proposta di Napolitano viene fatta propria dal governo e si va. Massimo D’Alema, che non ha imparato niente dalle regionali perse che gli costarono il posto, dopo aver promesso che avrebbe lasciato Palazzo Chigi se il centrosinistra le perdeva, lancia al Senato un’altra sfida: o approvate la mia politica estera o il governo si dimette. Nessuno lo smentisce, purtroppo, anche se il ragionamento, semplicemente, non ha senso, come non aveva senso la richiesta del Quirinale.
Riflessione d’obbligo, prima di proseguire. Al Quirinale c’è un diessino in ottimi rapporti con D’Alema. Ritengo che quest’ultimo, favorendone l’elezione al suo posto, vi abbia messo un uomo disponibile nei suoi confronti. Il Quirinale che invitava al dibattito sulla politica estera, faceva il gioco di D’Alema, che, uscitone vincitore si sarebbe rafforzato. Ecco perché la proposta di Napolitano. D’Alema, ritengo, gliel’ha suggerita a suo vantaggio. Ed invece è andata come sappiamo. Tutti, tranne Fassino, volevano fortemente D’Alema al governo perché sapevano che rappresentava un pericolo lasciarlo scorazzare libero nella politica italiana: già una volta aveva complottato con Bertinotti per far cadere Prodi. E quest’ultimo, non riuscendo a neutralizzarlo mandandolo al Quirinale, ha pensato bene di esiliarlo agli Esteri. Ma D’Alema è D’Alema, e per la politica interna italiana una jattura: dovrebbe dedicarsi solo alle cancellerie straniere, con le quali può sfogare la sua indole da tessitore di trame. Ma il nostro non ce la fa a non occuparsi delle cose italiane. E non potendo fare diversamente, ha inguaiato Prodi con la politica estera.
Ma torniamo al nostro racconto dell’assurdo.
Puntatosi da solo una P38 in faccia e messala nelle mani di irresponsabili come Turigliatto e Rossi, D’Alema, pieno di sé, li ha provocati e loro hanno sparato.
Prima che qualcuno potesse parare il colpo, irritualmente è salito al Quirinale: a fare che? Di solito è il capo del governo e non il suo vice che fa certe cose. Per consultazioni, dicono. Per imboccare Napolitano e suggerirgli il da farsi, dico io. Una simile ricostruzione sui giornali non si trova. Ma un po’ tutti gli articoli provano a suggerire di D’Alema l’idea del complottardo. Altra riflessione. Sulle comunicazioni di D’Alema il governo non pone la fiducia, dunque non v’è alcun obbligo alle dimissioni, eppure Prodi le dà.
Ripercorriamo l’assurdo. Assurdamente Napolitano chiede un dibattito sulla politica estera; assurdamente il governo lo concede; assurdamente D’Alema provoca; assurdamente, dopo il voto, sale al Quirinale; assurdamente Prodi si dimette.
Il dilettantismo dell’Unione al Senato non è certo di questo mese. Pur consapevole di avere un margine di pochi voti che fa? Elegge uno dei propri alla Presidenza del Senato, perdendo un voto. Peggio. Elegge un senatore al Quirinale, perdendone un altro: due in tre settimane. Come se non si potesse rinunciare, dato l’esito delle elezioni, a guidare Palazzo Madama (l’ultimo voto utile espresso da Marini) e come se i DS, a parte D’Alema e (il ventriloquo?) Napolitano (81 anni) non avessero altre personalità per la Presidenza della Repubblica.
Il governo la settimana prossima avrà la fiducia ma rischia di essere un’anatra zoppa. E di certo ha perso, ad oggi, molto del suo risicato smalto.
Il nuovo voto di fiducia poteva essere l’occasione per un dimagrimento delle compagine ministeriale, forte di centouno (!) membri. Non so quanti sottosegretari possono essere considerati supeflui, ma quasi una dozzina di ministri potrebbe lasciare il governo senza che l’Italia ne risenta, anzi.
Ed invece, questa volta per comprensibile prudenza, meglio non stravolgere la situazione.
Alla fine qualcosa di buono però potrebbe uscire. Prodi, con il suo dodecalogo, pare aver dato una bella frustata a Verdi, PdCI e RC. La speranza, poco fondata, è che li abbia ridotti alla ragione per lungo tempo.
Ultima riflessione. La sinistra radicale non ha voluto finora sentir parlare di maggioranze variabili. Guai se il governo varava provvedimenti aprendo a settori dell’opposizione.
Eppure la sinistra radicale non se n’è schifiata quando è stato approvato l’indulto. Quando la maggioranza variabile si è creata ed il provvedimento è passato coi voti di FI e UDC, ma senza quelli di IdV che si è aggiunta all’opposizione di Lega e AN. In quel caso, la maggioranza variabile andava bene.

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