"Non condivido le tue idee, ma darò la vita perché tu le posesprimere". Voltaire

8.2.07

Lettera dal fronte

Ho già scritto che l’Italia deve rimanere in Afghanistan.
Il nostro intervento in questo paese era finalizzato al rovesciamento del regime dei talebani, ovvero di Al Qaeda che ha sferrato l’atto bellico a danno degli USA l’11 settembre del 2001. E gli USA sono nostri alleati, al cui soccorso dobbiamo andare in base agli accordi della NATO.
Le nostre truppe in Afghanistan svolgono un ruolo marginale, di controllo delle province meridionali, non direttamente impegnate nello smantellamento della guerriglia talebana. La NATO, su richiesta del comando USA, ci chiede invece un maggiore impegno, non soltanto in termini di truppe, ma anche di qualità dell’intervento. Nel disegno statunitense, i nuovi rinforzi italiani andrebbero concentrati in quelle aree del paese dove i militari USA e britannici combattono quotidianamente, manu militari, il nemico.
Obbiettivamente, la richiesta non è sbagliata. Se siamo lì per far fuori i talebani, che sono una minaccia per tutto l’Occidente, o li combattiamo o non ha senso rimanere acquartierati dove i talebani non ci sono. Perché questo vorrebbe dire rimanerci a tempo indeterminato, in attesa che altri facciano il da farsi.
Il nostro governo dovrebbe dirottare in Afghanistan le truppe ritirate dall’Iraq e schierarle contro Al Qaeda.
Detto questo, è una decisione che spetta al nostro governo e che la maggioranza italiana deve prendere in totale autonomia. Bene hanno fatto Prodi e soprattutto D’Alema a reagire malamente alla lettera di sei ambasciatori guidati da quello americano in cui ci si rivolge direttamente agli italiani perché spingano il governo a rimanere in Afghanistan. È una bella interferenza. Sei paesi stranieri, seppur amici, si rivolgono ad un popolo perché modifichi la linea di condotta del governo che hanno eletto. Manco fossimo noi stessi l’Afghanistan! Ricordate quando ho scritto dell’idea imperiale che gli USA hanno di sé? Eccone una prova.
La lettera, ispirata dal Dipartimento di Stato USA, dimostra poi che l’amicizia tra Condi Rice e D’Alema era una burla di quest’ultimo. Ma questo l’avevamo capito da soli. La missiva incriminata è un bell’attacco anche alla megalomania del nostro ministro degli Esteri, che si è dovuta accontentare della sconfessione dell’ambasciatore rumeno da parte del suo governo, premier in testa.

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