Il Grande Vecchio di Repubblica, intervistato da Serena Dandini nel suo "Parla con me", oltre a litigare via etere con Ferruccio de Bortoli che dirige il "Corriere della Sera", ha lanciato la proposta che i due che raccolgono meno voti alle primarie nazionali del PD accettino la vittoria del più votato, anche se questo non ha raggiunto il 50%+1 dei voti.
Nel PD Scalfari gode di tale autorevolezza che tutti e tre si sono subito affrettati a prendere in seria considerazione l'ipotesi.
Franceschini ha detto subito di sì: lui d'altronde punta sul popolo delle primarie per togliere il PD dalle teoria dell'ennesima evoluzione del PCI che fu; anche Bersani ha detto subito di sì: se lui si ferma sotto il 50%, teme che i delegati di Marino riversino i suoi voti su Franceschini tagliandolo fuori dalla segreteria cui agogna da almeno due anni; chi invece si è detto contrario è stato proprio Marino, meno outsider e lontano dai giochi politici di quel che vuole apparire: il chirurgo ha infatti puntato tutto sul ruolo da "king maker" che intende giocare: cioè: spera che nessuno dei due contendenti raggiunga il 50%+1 dei voti degli elettori PD per diventare centrale, all'Assemblea Nazionale, e fare la differenza, di fatto scegliendo chi far vincere. Se invece Franceschini e Bersani si cedono il passo vicendevolmente non ha più alcun ruolo.
Se i principali candidati democratici saranno di parola compiranno un gesto di grande maturità e di assoluta novità nella politica italiana. Non saranno più eletti sulla base di un accordo di poteri ma comunque di un consenso di massa.
Ma saranno di parola? E si presenterà l'occasione per dimostrarlo? Il 25 ottobre si avvicina.
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