"Non condivido le tue idee, ma darò la vita perché tu le posesprimere". Voltaire

11.10.09

Pesi e Contrappesi

Il dibattito apertosi in Italia dopo la bocciatura del Lodo Alfano, e soprattutto la reazione di Berlusconi, mi ha suscitato qualche riflessione.

Anche la Costituzione italiana ha un sistema di pesi e contrappesi.

Chi vince le elezioni governa; e lo fa sulla base di una maggioranza parlamentare; cioè: non solo governa ma ha i numeri anche per cambiare le leggi vigenti. L'arte del governo è quella di applicare le leggi che esistono quando si subentra nella stanza dei bottoni. Ma in Italia, chi sta a palazzo Chigi e guida i ministeri è anche espressione della maggioranza di Camera e Senato: e quindi può cambiare quelle leggi che non intende rispettare e portare avanti. Insomma, ha un potere enorme.

Per bilanciare questo potere esiste la figura del Presidente della Repubblica che infatti sceglie lui (è ancora così in Italia) il capo del governo che deve dimostrare di avere il sostegno del Parlamento; è sempre però il Capo dello Stato che controfirma i decreti di nomina dei singoli ministri; i decreti legge del governo; le leggi approvate dal Parlamento.

Per rafforzare il bilanciamento dei poteri, la durata del mandato quirinalizio è differente da quello del capo del governo e del parlamento: sette anni contro cinque. Per evitare un Capo dello Stato che faccia il bastone fra le ruote del governo, al Quirinale si è eletti con una maggioranza minima che deve essere sempre più ampia della semplice maggioranza che serve per governare.

A sua volta può accadere che il governo presenti una legge, approvata dal Parlamento e controfirmata dal Presidente della Repubblica (ovvero, tutti d'accordo) che, però, violi la Costituzione, legge fondamentale dello Stato da cui origina tutto il diritto italiano. In questo caso, sollecitata dalla magistratura ordinaria o da almeno cinque regioni, interviene la Corte Costituzionale che, sempre in virtù di un sistema di pesi e contrappesi, è composta da 15 membri, un terzo dei quali eletti dal Parlamento, un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, un terzo dalle magistrature dello Stato. A loro volta ciascuno di essi dura in carica 9 anni e non può essere rieletto. Così non è detto che, nell'arco di una legislatura o di un mandato presidenziale, effettivamente vengano nominati cinque+cinque dei componenti. Attualmente, ad esempio, ce n'è uno solo nominato da Napolitano e quattro, mi pare, dal suo predecessore Ciampi, nessuno da Scalfaro. La diversa composizione della Consulta, diversa anche nei tempi di assunzione del mandato, assicura l'equilibrio complessivo della Corte. Che, a sua volta, si è data una regola interna: presiede la Corte il componente più vicino alla scadenza del mandato. E' così capitato che ci siano stati tre presidenti in uno stesso anno. A onor del vero, questa regola non scritta, questa consuetudine, ha sollecitato fondate polemiche, perché pare dettata dalla volontà di tutti i componenti di andare in pensione (semplifichiamo) tutti con un assegno vitalizio presidenziale. Ma è un sacrificio economico che forse la Repubblica può sostenere.

Un sistema di pesi e contrappesi non può che essere sostenuto da chi è sinceramente democratico e ha come principale preoccupazione la tenuta democratica del paese; mi tranquillizza sapere che, chi la pensa diversamente da me non potrà violare i miei diritti costituzionalmente garantiti. Un tale sistema invece è mal sopportato da chi ritiene che vincere le elezioni equivale a sbancare il banco. Chi vince ha avuto l'onore d'essere scelto dagli elettori per governare, non per comandare; e sempre nell'ambito del sistema istituzionale italiano, non in violazione di esso.

Altro mi viene in mente, ma per ora mi fermo qui.

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